BigMama: “Cosa significa essere una donna lesbica in un Paese che ci fa la guerra”














































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Nell’ultimo anno BigMama non si è riposata e ha fatto di tutto: musica, libri, conferenze e conduzione. Marianna Mammone, classe 2000 dalla provincia di Avellino, dopo il successo a Sanremo 2024, ha dato origine alla collaborazione con Alessandra Amoroso, poi il nuovo singolo San Junipero (in uscita nei prossimi giorni), e quest’estate partirà in tour. Senza dimenticare la conduzione della diretta italiana dell’Eurovision Song Contest, dal 13 al 15 maggio su Rai 2, con Gabriele Corsi, e del Concertone del Primo Maggio, con Noemi ed Ermal Meta.
BigMama poliedrica
BigMama, oltre che cantante, è un’attivista per i diritti LGBTQ+ e una presentatrice. «Non voglio limitarmi, ho tante cose da voler fare», dice in un’intervista a Vanity Fair in cui parla di tutto, anche del passato di sofferenza: il rapporto complesso con il proprio corpo, la depressione, l'autolesionismo, il bullismo subìto da adolescente, il cancro da cui è poi guarita, l’essere una donna lesbica «in un Paese che ci fa la guerra». Ma quel passato, BigMama l’ha saputo trasformare in un punto di forza: «Sono passata dall’essere presa in giro, guardata male, dovunque, a sentirmi dire: “Grande BigMama, facciamoci una foto”».
Esempio di libertà e consapevolezza
Passare dall’essere lo zimbello del paese a esempio di libertà e consapevolezza non deve essere stato facile: «Difficilissimo. Ma prima che orgogliosi, bisogna essere liberi di essere come si è. Per me è stata dura». Ecco cos’è per lei il successo: «Essere, comunque, realizzati: nella vita, in amore, nello studio. Essere dove si vuole essere. Io ci sto arrivando, si lotta ogni giorno». Non che il confronto con gli odiatori di professione sia finito: «Ne ho passate tante. Ancora, purtroppo, soffro i commenti degli hater sui social. Per una che è stata bullizzata non è semplice, mi riporta in mente al passato. Ma ne sto parlando con la psicologa, ci sto lavorando».
Finalmente la patente
A proposito di lavoro con la psicologa, non sono pochi i suoi colleghi che sono rimasti schiacciati dal successo e hanno dovuto fermarsi: «Mi sono concessa dei mesi di pausa all’inizio di quest’anno, per chiudere dei cerchi, tipo prendere la patente. Era una cosa che dovevo fare, per me, da quando sono diventata maggiorenne. Solo che all’inizio, per questioni economiche, non ho potuto, poi sono stata sommersa dagli impegni di lavoro, in cui mi sono rifugiata, perché per me la musica è una salvezza».
Verso la laurea
E poi, pare che avremo una dottoressa Marianna Mammone: «Alla fine dell’anno scorso ho ripreso in mano ciò che avevo trascurato. Compresa la laurea in Urbanistica: mi manca solo la tesi. Ho paura di lasciare sempre qualcosa alle spalle, anche se sono legata alla mia famiglia, alla vita di prima, perché la considero una ricchezza».
La conduzione dell’Eurovision
Il prossimo impegno è quello con l’Eurovision. «Non le dico i pianti quando ho saputo di essere stata scelta da Gabriele Corsi. L’anno scorso ero stata giurata, un’esperienza bellissima, ma amo l’Eurovision fin da quando ero bambina». E poi confessa che «voglio fare anche tv e il modello, lo dico con il massimo rispetto, è Raffaella Carrà». Ma che tipo di conduzione sarà la sua? «I protagonisti sono gli artisti, io amplificherò i loro messaggi, ciò che rappresentano. L’anno scorso, per esempio, in gara c’era una persona queer: l’Eurovision verrà visto magari anche persone anziane, che non hanno sensibilità su certi temi, e mi piacerebbe introdurli a questi concetti. Avrò un canovaccio, non un copione vero e proprio: sono una che improvvisa».
I suoi messaggi
Usare la musica per mandare messaggi sembra la sua vocazione: «L'argomento che più mi fa piangere è il cancro, che ho dovuto affrontare e che ho raccontato nel mio libro Cento occhi (Rizzoli), del 2024. Un libretto, eh. Non s’immagini la biografia di Leopardi. Però un vissuto c’è e mi ha messo in contatto con varie persone che stanno affrontando la chemioterapia, o che hanno appena scoperto di essere malate. Gente che si è aperta con me, che si fida. Per me è stata un’esperienza intensa. A uno degli ultimi concerti c’era una ragazza con un cartellone, festeggiava la fine della chemio».
E la famiglia?
Fra i testi delle sue canzoni c’è un messaggio importante: «Voglio una famiglia con te, ma siamo in Italia: qua il problema siamo io e te, mica la mafia».
«Vedo un Paese triste - risponde ancora BigMama - con un governo che fa la guerra alla comunità LGBTQ+. Non capisco perché l’amore che proviamo tra noi debba dare fastidio a qualcuno, non capisco in generale come l’amore, a detta loro, possa generare male. Io sono una cittadina come le altre, perché con la mia ragazza non ho il diritto di mettere su una famiglia come ogni altra persona, compresi i miei genitori? È un attacco sociale senza senso. Io mi sforzo di capire chi non la pensa come me, ma qui nessuno vuole capire noi».
Niente figli
Ma se BigMama avesse un figlio, cosa gli insegnerebbe? «Il rispetto. Ma non ha senso parlarne, a meno che non si metta di mezzo lo Spirito Santo non avrò figli».
A proposito di educazione per infanti, come interverrebbe per combattere il patriarcato? «Come tutti, sull’educazione. Ancora ai bambini maschi viene detto di non piangere “perché è da femmine”. La scuola, in questo senso, è un disastro: non fa educazione sessuale, affettiva, niente. Io vengo dalla provincia di Avellino, si figuri. Magari nelle grandi città era già diverso, ma a me a momenti facevano bullismo perfino i professori, figurarsi i compagni. Ho scoperto la sessualità su internet, a scuola nessuno ne parlava mentre i miei mi avevano detto solo qualcosa, peraltro falsa».
L’esempio di Adolescence
Anche BigMama ha visto Adolescence e come ha alimentato il dibattito sui femminicidi. «Sulle generazioni dopo la mia ho un’idea divisa: da una parte hanno una sensibilità diversa, io ho 25 anni e l’essere gay, ad Avellino, quand’ero piccola era un motivo per ridere, mentre i miei fratelli più piccoli sono abituati; dall’altra, resiste un’educazione al possesso, alla donna come “sesso debole”, che poi porta i giovanissimi ad avere crisi d’identità quando ne vedono una libera. La colpa è dei professori e dei genitori, sempre. Vale per tutti: se i miei avessero notato il mio disagio, quand’ero ragazzina, e mi avessero mandata in terapia, avrei avuto una vita migliore. Solo che è difficile sensibilizzare i più grandi: credo di più nel ricambio generazionale».
La libertà di sentirsi liberi
Qual è il suo fan tipo? Chi viene ai suoi concerti? «Ovviamente tanti gay - dice ridendo – ma il mio concerto è aperto a tutti, la gente si mescola. È uno spazio dove ciascuno può sentirsi libero: dico alle persone di venire vestite come preferiscono, magari con quell'abito che amano e si vergognano a mettere perché sono convinti che li faccia sembrare brutti. O di truccarsi, anche se la società non lo vuole. Da me nessuno giudica, è uno spazio libero: ci sono passata io per prima, dopo averlo detto a me stessa, di essere orgogliosa, vorrei dirlo agli altri. Fare del cambiamento, vero. Ultimamente, alla fine, incontro tanti figli con genitori. A loro dico: “Li state crescendo bene”».
Foto Ansa e Instagram