"Mi hanno stuprata per colpa mia": la provocazione di Yana Mazurkevich
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Subire uno stupro è un dolore che non finisce mai: inizia con la violazione del proprio corpo e continua con la violenza psicologica che si deve subire da parte di chi ritiene le vittime responsabili di ciò che è accaduto loro. Per questo sei donne vittime di violenza sessuale hanno scelto di posare davanti all'obiettivo di Yana Mazurkevich, studentessa bielorussa trapiantata a New York, per raccontare i pensieri a cui sono state indotte dai giudizi di chi difendeva i loro carnefici. "La mia gonna era troppo corta". "Non avrei dovuto camminare da sola". "Sono stata troppo amichevole". "È stata colpa mia, ero ubriaca". Giudizi che, anziché puntare il dito contro chi violenta e aggredisce, mettono sotto accusa la vittima e il suo comportamento. Il progetto fotografico, intitolato "Dear Brock Turner", è nato dopo il caso Brock Turner, lo studente della Stanford University (California) che, nella notte tra il 17 e il 18 gennaio 2015, violentò una ragazza in stato di semi incoscienza, dietro un cassonetto di un campus universitario di Palo Alto. Oltre alla pena lieve, sei mesi di carcere e tre anni di libertà vigilata, a fare scalpore sono state le parole del padre che in una lettera ha difeso il figlio liquidando l'aggressione a "20 minuti di azione". Immagini da yanamazurkevich.com
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Subire uno stupro è un dolore che non finisce mai: inizia con la violazione del proprio corpo e continua con la violenza psicologica che si deve subire da parte di chi ritiene le vittime responsabili di ciò che è accaduto loro. Per questo sei donne vittime di violenza sessuale hanno scelto di posare davanti all'obiettivo di Yana Mazurkevich, studentessa bielorussa trapiantata a New York, per raccontare i pensieri a cui sono state indotte dai giudizi di chi difendeva i loro carnefici. "La mia gonna era troppo corta". "Non avrei dovuto camminare da sola". "Sono stata troppo amichevole". "È stata colpa mia, ero ubriaca". Giudizi che, anziché puntare il dito contro chi violenta e aggredisce, mettono sotto accusa la vittima e il suo comportamento. Il progetto fotografico, intitolato "Dear Brock Turner", è nato dopo il caso Brock Turner, lo studente della Stanford University (California) che, nella notte tra il 17 e il 18 gennaio 2015, violentò una ragazza in stato di semi incoscienza, dietro un cassonetto di un campus universitario di Palo Alto. Oltre alla pena lieve, sei mesi di carcere e tre anni di libertà vigilata, a fare scalpore sono state le parole del padre che in una lettera ha difeso il figlio liquidando l'aggressione a "20 minuti di azione". Immagini da yanamazurkevich.com
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Subire uno stupro è un dolore che non finisce mai: inizia con la violazione del proprio corpo e continua con la violenza psicologica che si deve subire da parte di chi ritiene le vittime responsabili di ciò che è accaduto loro. Per questo sei donne vittime di violenza sessuale hanno scelto di posare davanti all'obiettivo di Yana Mazurkevich, studentessa bielorussa trapiantata a New York, per raccontare i pensieri a cui sono state indotte dai giudizi di chi difendeva i loro carnefici. "La mia gonna era troppo corta". "Non avrei dovuto camminare da sola". "Sono stata troppo amichevole". "È stata colpa mia, ero ubriaca". Giudizi che, anziché puntare il dito contro chi violenta e aggredisce, mettono sotto accusa la vittima e il suo comportamento. Il progetto fotografico, intitolato "Dear Brock Turner", è nato dopo il caso Brock Turner, lo studente della Stanford University (California) che, nella notte tra il 17 e il 18 gennaio 2015, violentò una ragazza in stato di semi incoscienza, dietro un cassonetto di un campus universitario di Palo Alto. Oltre alla pena lieve, sei mesi di carcere e tre anni di libertà vigilata, a fare scalpore sono state le parole del padre che in una lettera ha difeso il figlio liquidando l'aggressione a "20 minuti di azione". Immagini da yanamazurkevich.com
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Subire uno stupro è un dolore che non finisce mai: inizia con la violazione del proprio corpo e continua con la violenza psicologica che si deve subire da parte di chi ritiene le vittime responsabili di ciò che è accaduto loro. Per questo sei donne vittime di violenza sessuale hanno scelto di posare davanti all'obiettivo di Yana Mazurkevich, studentessa bielorussa trapiantata a New York, per raccontare i pensieri a cui sono state indotte dai giudizi di chi difendeva i loro carnefici. "La mia gonna era troppo corta". "Non avrei dovuto camminare da sola". "Sono stata troppo amichevole". "È stata colpa mia, ero ubriaca". Giudizi che, anziché puntare il dito contro chi violenta e aggredisce, mettono sotto accusa la vittima e il suo comportamento. Il progetto fotografico, intitolato "Dear Brock Turner", è nato dopo il caso Brock Turner, lo studente della Stanford University (California) che, nella notte tra il 17 e il 18 gennaio 2015, violentò una ragazza in stato di semi incoscienza, dietro un cassonetto di un campus universitario di Palo Alto. Oltre alla pena lieve, sei mesi di carcere e tre anni di libertà vigilata, a fare scalpore sono state le parole del padre che in una lettera ha difeso il figlio liquidando l'aggressione a "20 minuti di azione". Immagini da yanamazurkevich.com
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Subire uno stupro è un dolore che non finisce mai: inizia con la violazione del proprio corpo e continua con la violenza psicologica che si deve subire da parte di chi ritiene le vittime responsabili di ciò che è accaduto loro. Per questo sei donne vittime di violenza sessuale hanno scelto di posare davanti all'obiettivo di Yana Mazurkevich, studentessa bielorussa trapiantata a New York, per raccontare i pensieri a cui sono state indotte dai giudizi di chi difendeva i loro carnefici. "La mia gonna era troppo corta". "Non avrei dovuto camminare da sola". "Sono stata troppo amichevole". "È stata colpa mia, ero ubriaca". Giudizi che, anziché puntare il dito contro chi violenta e aggredisce, mettono sotto accusa la vittima e il suo comportamento. Il progetto fotografico, intitolato "Dear Brock Turner", è nato dopo il caso Brock Turner, lo studente della Stanford University (California) che, nella notte tra il 17 e il 18 gennaio 2015, violentò una ragazza in stato di semi incoscienza, dietro un cassonetto di un campus universitario di Palo Alto. Oltre alla pena lieve, sei mesi di carcere e tre anni di libertà vigilata, a fare scalpore sono state le parole del padre che in una lettera ha difeso il figlio liquidando l'aggressione a "20 minuti di azione". Immagini da yanamazurkevich.com
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Subire uno stupro è un dolore che non finisce mai: inizia con la violazione del proprio corpo e continua con la violenza psicologica che si deve subire da parte di chi ritiene le vittime responsabili di ciò che è accaduto loro. Per questo sei donne vittime di violenza sessuale hanno scelto di posare davanti all'obiettivo di Yana Mazurkevich, studentessa bielorussa trapiantata a New York, per raccontare i pensieri a cui sono state indotte dai giudizi di chi difendeva i loro carnefici. "La mia gonna era troppo corta". "Non avrei dovuto camminare da sola". "Sono stata troppo amichevole". "È stata colpa mia, ero ubriaca". Giudizi che, anziché puntare il dito contro chi violenta e aggredisce, mettono sotto accusa la vittima e il suo comportamento. Il progetto fotografico, intitolato "Dear Brock Turner", è nato dopo il caso Brock Turner, lo studente della Stanford University (California) che, nella notte tra il 17 e il 18 gennaio 2015, violentò una ragazza in stato di semi incoscienza, dietro un cassonetto di un campus universitario di Palo Alto. Oltre alla pena lieve, sei mesi di carcere e tre anni di libertà vigilata, a fare scalpore sono state le parole del padre che in una lettera ha difeso il figlio liquidando l'aggressione a "20 minuti di azione". Immagini da yanamazurkevich.com
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Subire uno stupro è un dolore che non finisce mai: inizia con la violazione del proprio corpo e continua con la violenza psicologica che si deve subire da parte di chi ritiene le vittime responsabili di ciò che è accaduto loro. Per questo sei donne vittime di violenza sessuale hanno scelto di posare davanti all'obiettivo di Yana Mazurkevich, studentessa bielorussa trapiantata a New York, per raccontare i pensieri a cui sono state indotte dai giudizi di chi difendeva i loro carnefici. "La mia gonna era troppo corta". "Non avrei dovuto camminare da sola". "Sono stata troppo amichevole". "È stata colpa mia, ero ubriaca". Giudizi che, anziché puntare il dito contro chi violenta e aggredisce, mettono sotto accusa la vittima e il suo comportamento. Il progetto fotografico, intitolato "Dear Brock Turner", è nato dopo il caso Brock Turner, lo studente della Stanford University (California) che, nella notte tra il 17 e il 18 gennaio 2015, violentò una ragazza in stato di semi incoscienza, dietro un cassonetto di un campus universitario di Palo Alto. Oltre alla pena lieve, sei mesi di carcere e tre anni di libertà vigilata, a fare scalpore sono state le parole del padre che in una lettera ha difeso il figlio liquidando l'aggressione a "20 minuti di azione". Immagini da yanamazurkevich.com